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Yunis ha ventisette anni e quattro figli (rispettivamente di nove, sette, tre e un anno) e per contribuire al bilancio familiare vende il latte della mucca di famiglia tutte le mattine e le sere, collabora con altre donne Masai nel creare i tradizionali gioielli e accessori di perline e coltiva la terra intorno a casa. Descrive il proprio marito come un lavoratore, driver di motociclette (qui utilizzate a taxi), che torna a casa tutte le sere e contribuisce quanto lei, portando a casa cibo in primis. Yunis a 27 anni tornerà a studiare, frequentando un corso di “cosmetics & beauty” per intrecciare la passione da hair stylist al tipico utilizzo delle perline. Ci racconta tutto questo con confidenza, slancio imprenditoriale e, senza troppe domande da parte nostra, si definisce felice.

Mary ha quarantasei anni, undici figli e ci accoglie nella propria casa in compagnia di uno dei figli maggiori e del marito; Mary condivide quest’ultimo, ormai ottantenne, con altre quattro mogli, delle quali lei è l’ultima e più giovane. Long story short, il figlio di Mary ci racconta di avere trentotto tra fratelli e fratellastri; lo fa tenendo in braccio suo figlio, ancora neonato e avuto dalla prima moglie, che, mette in chiaro, sarà la sola, in quanto averne di più non è economicamente sostenibile. Certo, tale scelta non è riservata alle sorelle, le quali si sono sposate nella speranza di essere le prime e uniche mogli e che, al contrario, sono state messe da parte per altre compagne.

Yunis e Mary sono due donne del villaggio Masai di Kibiko (valle di Ngong), una rigogliosa distesa di campi verdi, terra rossa e mucche libere di pascolare in strada che dista un’ora di bus da Nairobi. L’etnia Masai, per quanto rappresenti meno del 2% della popolazione è spesso identificata come simbolo del Kenya: un popolo di guerrieri prima e di allevatori nomadi ora, sfuggito per anni all’ingerenza e alle briglie del colonialismo e in cui il patriarcato e pratiche quali la circoncisione sia maschile sia femminile persistono tuttora.

Raccontare di queste due donne mi mette di fronte alla bellezza e alle contraddizioni di quanto vissuto oggi: da un lato una sincera dimostrazione di amore per la propria cultura e terra, condita da una voglia di indipendenza e crescita personale, dall’altro l’impressione di un graduale annullamento del singolo a favore della quantità di “braccia per lavorare”.

Mi lascio allora questa giornata alle spalle con più interrogativi che risposte, la maggior parte dei quali legati alla differenza culturale e sociale che ci contraddistingue.
Ecco però che, come noi abbiamo fatto del nostro meglio per entrare in punta di piedi nelle case delle donne Masai, con orecchie in ascolto e cuore sgombro da pregiudizi, così ogni qual volta una di queste donne volesse intraprendere un percorso per se stessa e la propria indipendenza, il progetto di empowerment femminile Inua Mama è pronto ad accoglierla, per un processo di apprendimento e valorizzazione reciproca.

Carlotta

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