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Eppure siamo tutti molto sicuri di essere arrivati nel posto giusto.

 

Personalmente posso dire che, neanche dodici ore dopo essere arrivata qui per la prima volta, non sono più un’estranea e non mi sento più estraniata. Hello, Jambo, Sa-sa, Oka, sono innumerevoli i modi di dirsi ciao. Il saluto è addirittura differenziato in base all’età, a seconda che a salutarti sia qualcuno più grande o più piccolo di te. È curioso che il metodo più scontato e banale di entrare in contatto tra umani sembri invece essere così articolato, preciso, rispettoso. Forse qui se ne usano così tanti per questo. O forse scoprirò tra qualche giorno un altro perché. Per ora mi piace pensare che sia così.

Le emozioni che si provano qui sono così rapide che spesso non hai nemmeno il tempo di analizzarle, e spesso anche così intense che non riesci subito ad andare oltre. In entrambi i casi ti accorgi di starle provando.

In questo posto correre non funziona, si pensa e si agisce con calma, prudenza, tatto, contegno.
Su questo si fonda la nostra azione e su questo speriamo che si baserà anche la reazione.

Che altro dire, le parole sembrano inadatte a esprimere la potenza di questo posto. Solidale, sorridente, curioso, a suo modo accogliente.
Le giornate in Africa hanno 24 ore esattamente come in Italia eppure sembrano il doppio, per ora credo che sia perché il tempo passato qui ti tiene legato a un’idea di vita, lenta, densa, contemplativa, di cui spesso ci priviamo da soli.

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