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PREMESSA: la con/divisione in questo caso è con/moltiplicazione, è un modo di crescere interiormente nella misura in cui ci si confronta. Qualcosa, nelle parole che seguiranno, potrà essere ridondante ma è solo una condivisione esponenziale e il lettore non potrà far altro che “con/moltiplicare” aumentando a dismisura il numero dell’esponente.

Una giornata senza una nuvola nell’azzurro cielo keniota, nell’intensa e persistente luce d’Africa. Ore trascorse, in parte accanto ai “piccoli” (bimbi, adulti e famiglie degli slum e dell’orfanotrofio delle Sorelle della Carità), e in parte tra la cultura Masai e l’artigianato dell’ombelico del mondo, in un mercato dai mille colori, dalle tante storie, dai tanti volti conosciuti e riconosciuti. Le vicende di un giorno sfociano in un cerchio che vuol essere un abbraccio fraterno tra coloro che condividono un’intensa esperienza tra le strade e le baraccopoli di Nairobi e dintorni. Una condivisione, non solo di emozioni passeggere, ma di cambi di rotta, di sguardi e di misure personali stravolte da una realtà che provoca, che vuole smuovere le montagne dell’ozio e del “più lontano è, meno mi riguarda”. Ci si apre all’altro, si mette in tavola il vissuto… per continuare la ricerca e il proprio percorso fatto di segni straordinariamente meravigliosi.

Uno sforzo richiesto alla ricerca di momenti e segni che aiutano a crescere, cambiando registro e volando in alto, rimanendo però con i piedi per terra nella realtà vissuta.

Si cresce nell’interiorità e nella fede nella misura in cui si condivide. C’è chi si sente privilegiato per le fortune ricevute in famiglia e nella vita, e crede, in età più matura, di aver la necessità di stare vicino agli ultimi del mondo, anche qui ad Ongata Rongai, innamorandosi degli altri perché scoperti, avvertiti, sentiti, ascoltati… cuore a cuore. La preghiera scandisce i tempi della giornata, e la dimensione religiosa dona una completezza che da’ pienezza, che va oltre al “viaggio” che certamente lo qualifica e lo rende ancor più bello. L’immagine quotidiana delle Sorelle della Carità è forza, è pienezza, è fede! Con la croce legata all’abito, fulcro di un’esperienza di vita, di una scelta, di una strada davvero straordinaria che sembra stiamo percorrendo anche noi.

È un momento di verifica di un vissuto, al di la delle soddisfazioni anche professionali che non mancano, per guardarsi dentro e muoversi fino a qui, per incontrare i “poveri”, i privilegiati da Gesù che interpretano al meglio la sua volontà. Un momento vissuto anche tra giovani che danno stimoli, forza e freschezza, vincendo il seppur importante approccio intellettuale, quindi privilegiando una pratica di volontariato.

Ma perché tornare qui? Non tutti quelli che sono a Nairobi, oggi in questa esperienza, hanno degli input e degli stimoli positivi e accrescitivi. Ma c’è sicuramente un motivo qui, negli occhi di una ragazza poco più che ventenne che dalla vita ha avuto molto poco e forse molto poco di bello, ma ha due occhi che accolgono e che ti fanno sentire a casa. Questo basta per tornare, per ribadire le proprie ragioni e il proprio “Sì” incondizionato. Ci sono passi in ricerca, passi che vogliono ascoltare anche se stessi fuggendo dalle distrazioni inevitabili. Gli “occhi bui” di David sono esempio di ricerca di sviluppo di un’empatia singolare, di concentrazione, utili a lasciar da parte emozioni per ora, almeno fino a quando, un’esperienza simile, si concluderà sul campo ma continuerà nella vita di ogni giorno.

C’è però chi non è mai stato convinto di tornare, quasi fosse l’ultima cosa a cui pensare quest’anno, lasciando alla “fatalità” l’eventuale partenza, con un arrivo destabilizzante con una nuova “mansione”, affrontando la diversità e le paure presupposte. Un lancio nel vuoto che però si contestualizza in contentezza, in ricerca di “un senso”, in ricerca di risposte lasciando sempre aperte le porte del cuore ad ogni stimolo possibile. La ricerca vale anche per un percorso di fede, c’è curiosità, c’è desiderio di farsi provocare, di intraprendere un sentiero pieno di incognite ma con la volontà di conoscere, di incontrare e di capire.

“Dio risiede nell’amore delle piccole cose” ed è motto per qualcun altro che crede nell’amore e nella capacità di amare, anche se talvolta si ritrova smarrito, mollando la presa. Qui ci sono compiti inattesi che rivelano la possibilità di ritrovare uno sguardo sperduto altrove. È una sfida contro le proprie insicurezze e le proprie paure che provocano ansie ingestibili, che creano momenti di sconforto. È un affidarsi continuo, fidandosi di un passo dato, di un abbraccio delicato e di una spinta inattesa, per poi ripartire anche nella quotidianità con uno slancio diverso.

Sui passi compiuti a Nairobi si incontra tenerezza tra il fetore dello slum, ci sono addii sulle strade polverose, ci sono abbracci con in mezzo mani sudice e nasi sporchi ma sono gioie, lezioni e affetti indelebili. Non è facile esternare e fortunatamente c’è chi è “casa” delle proprie esperienze, custode temporaneo di sentimenti da elaborare.

“Odore nostro che riconosce odore”: è gioia. Qui c’è chi esprime gioia per un’amicizia consolidata nel tempo, c’è chi esprime lode per chi raggiunge il cuore degli incontri, c’è chi si sente accarezzato dalla presenza dei wazungu che non possono che ricambiare gioia, credendo nella collettività e nella forza comune, in un gruppo che scambiando cresce, che condividendo ama di più, che camminando nel servizio al prossimo rivela fragilità e cuore. Ci si sente “scelti” e forse davvero “privilegiati”: scelti da un bimbo, privilegiati nel donare semplicemente se stessi al prossimo, nell’incontrare una famiglia locale che si racconta, che non cerca aiuto economico ma fraternità.

Chi è qui forse è “in cerca di una risposta” o “in un tentativo alternativo dopo un presunto fallimento”… è uno specchio di un vissuto familiare con ferite aperte ma anche la consapevolezza che questa sia una scelta giusta sia per un giovane, sia per un adulto con un vissuto più intenso. C’è chi per tanto tempo “non ha guardato” e da un corridoio buio ha deciso di “toccare” con mano la terra d’Africa e “sentire” dolore, desolazione e imbarazzo in una vita difficile da sostenere… “ascoltando” un senso di comunità innato dove anche il nulla è condiviso.

La diversità è fondamentale per cercare e ricercarsi, la diversità consente di mantenere una tensione positiva utile a desiderare il meglio non solo per se stessi. Le differenti vite smuovono domande, provocano il cuore… la presenza di una ragazza ventottenne idrocefalo, riempie di domande e induce a mettere in moto i propri talenti, per rendere grazie per aver ricevuto una vita fortunata. Vi è la possibilità di guardarsi da un’altra prospettiva, sfiduciando le proprie sicurezze. C’è voglia di sedersi ai banchi della “scuola della vita” perché lo slum è un’università in cui imparare anche attraverso un abbraccio di accoglienza di una bimba sconosciuta, che apre le porte alla possibilità di crescere, al di la di ogni confusione lungo il percorso intrapreso e che non è detto rimanga tale.

Nel percorso ci sono scelte non sempre condivise ma che possono essere utili stravolgimenti ai propri piani e alle proprie misure. Volti sofferenti attirano l’attenzione, pretendono un affetto così facilmente intenso e donabile, provocano occhi lucidi e lacrime che inspiegabilmente vengono asciugate dalle loro manine tese a volti bianchi sconvolti e lacerati da un dolore che si trasforma nella consapevolezza di essere nel posto giusto, non solo a donare ma a ricevere. Un ban urlato da reticente diventa espressione di gioia che va oltre. Un nome scritto su un pezzetto di scotch diventa senso di appartenenza. Delle vecchie mollette per capelli regalate diventano un dono di immensa tenerezza e una gioia condivisa che è moltiplicata. Una festa con settecento e più bambini è motivo di sorpresa quando delle bimbe raccolgono un fiore di nascosto, ti chiudono gli occhi e te lo pongono tra i capelli… ecco la gratuità che sconvolge e che ti rende nuovo.

“Sono stanchi i miei occhi di guardare in alto”: non è una resa a una lenta routine incarcerata nelle incomprensioni ma piuttosto guardare in alto è spesso dispersione, ed è bene portare altrove lo sguardo per non perdersi, non distrarsi facendoci guidare dai “piccoli” per chiederci dove siamo, cosa stiamo facendo, come lo stiamo facendo, ricercando nel silenzio un esempio. Talvolta ci si destabilizza anche per la confusione di una realtà non facilmente comprensibile, con un sistema che crea enormi buchi dove c’è chi tenta di tapparli e “curare le ferite”. È agrodolce capire che il ritmo della preghiera è fondamentale ora che c’è la sostanza, per uno che crede di non credere, ogni gesto acquista importanza, ogni parola provoca e invita.

La comunicazione che nasce crea relazioni che sono fondamentali, intense e vanno alimentate senza remore anche nel futuro; sono germe d’amore e semente continua di gioia e tenerezza. Comunicare, interagire, credere nelle relazioni anche nella disabilità più grave, perché donando si riceve cento volte tanto da chiunque… si matura, si intuisce, si volge lo sguardo al Cielo e ancora si riceve molto.

Ci sono occasioni in cui si parte stanchi, pieni di paure e di troppi imprevisti accumulati ma l’esperienza nata e cresciuta per queste strade diventa gioia se condivisa con amici e persone vicine. È una macchinina caricata a molla, necessaria per affrontare il nuovo giorno e per affrontarsi nella sconfinata ricerca della buona notizia, nell’incontro e nello scontro reciproco che porta relazioni che caricano le batterie.

Nessuna parentesi nell’esperienza, importante cogliere i segni che la vita ci pone dinanzi, anche quelli che più fanno soffrire e non possono essere limitati a momenti difficili e insuperabili ma piuttosto a sentieri lunghi e vissuti. E mentre la luna illumina le lamiere della vicina baraccopoli di Kware e il prato dinanzi al dormitorio scintilla al suo chiarore, anche questa con/moltiplicazione ha fine o meglio… continua!

Guido

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