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Siamo giunti alla conclusione di questo campo. Oggi si celebra la grande festa delle sisters, giorno in cui alcune confermano i voti ed altre li prendono per la prima volta, e poi si torna a Roma. Per questo oggi è la giornata in cui un po’ si tirano le somme di questi giorni, e si fa un bilancio di come è andata. Più che soffermarmi sulla giornata di oggi infatti, passata tra l’aiutare le sisters a mettere a posto ed a papere festoni, e un’ultima visita al masai market per gli acquisti dell’ultimo minuto, vorrei soffermarmi su un’analisi generale, e soprattutto su quello che questa nuova esperienza mi ha lascito. 

Sono partita con delle sicurezze che sono state piano piano smontate dalla realtà con cui mi sono confrontata. 

Ero convinta di voler dedicare il mio futuro alla gestione delle conseguenze dei problemi dell’Africa, come ad esempio le migrazioni, ma non mi ero mai soffermata troppo sull’importanza che in realtà ha l’affrontare il problema alla radice. 

Grazie al progetto Inua Mama ho imparato quanto sia fondamentale dare la possibilità alle persone di essere autonome e quindi di aiutarle a costruire un’indipendenza che mira a rendere superfluo il ruolo del volontario. Io sono sempre stata abituata all’importanza del servizio e alla bellezza del volontariato, quindi ci ho messo un po’ a capire a fondo l’importanza di questo concetto. L’esperienza vissuta con Maurizio con Napenda Kuishi mi ha aiutata ancora di più a interiorizzarlo. Più volte Maurizio ha sottolineato il suo obiettivo nel non istituzionalizzare i ragazzi della comunità, dandogli gli strumenti per affrontare il futuro in maniera autonoma. Questo nella mia concezione manca completamente. Nella mia poca esperienza mi sono sempre rapportata con strutture che accompagnano gli adolescenti in difficoltà fino alla maggiore età, e poi li abbandonano, per una miriade di problemi tra cui anche il fatto che le strutture italiane siano gestite dallo stata, e quindi sempre in carenza di fondi. Ma questo quanto risolve il problema di questi ragazzi? Quanto assicura che una volta usciti dalle strutture siano in grado di affrontare il mondo da soli?

Un altro aspetto di cui mi sono resa conto in questi giorni è la miopia con cui spesso ho guardato alle situazioni di disagio. Maurizio più volte ci ha detto “l’esaltazione della povertà è peccato”, e io non avevo mai realizzato quanto fosse vero. È facile dirlo vivendo nel lusso, ma che vita è quella in cui non si può fare altro che cercare di sopravvivere? Quante volte ci troviamo ad elogiare persone che si trovano in situazioni di disagio idealizzandole, dicendoci “si accontentano di quel poco che hanno eppure sono felici”. Certo, ma se avessero di più si accontenterebbero di più. È facile parlare quando si è dall’altra parte e non si deve fare i conti tutti i giorni con questa realtà. 

Agnese

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