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Ci siamo pensati

Ciao a tutti, sono miki e questo è il secondo anno che vengo in Kenya con la giacomogiacomo Onlus.

L’anno scorso avevo scritto di quanto questa esperienza sia stata importante per conoscere una realtà diversa dalla nostra, per aprirci gli occhi e il cuore e per metterci in gioco attraverso la relazione con l’altro…

Quest’anno, tornando, ho avuto la possibilità di sentirmi un po’ accolta da una piccolissima parte di questa realtà che nonostante le numerose differenze e qualche pregiudizio trova piacere a rincontrarsi.

Lo sguardo di un bambino in mezzo a tanti che si ricorda di te dopo un anno e dice il tuo nome è un piccolo seme di condivisione e di crescita insieme.. ci siamo pensati.

Quest’anno sono stata affidata al gruppo che costruisce gli orti nei sacchi.

Questo consiste nel prendere la terra, pulirla dalla plastica e dalla spazzatura e metterla in dei sacchi per poi piantarvi i semi.

Questa mattina,abbiamo mostrato ai ragazzi un po’ più grandi dello slum, come si costruiscono gli orti nei sacchi, abbiamo cercato,prima di iniziare, di responsabilizzarli sottolineando la differenza tra gioco e lavoro.

Nel pomeriggio siamo andati a vedere gli orti fatti negli anni precedenti .

I proprietari ne hanno spiegato l’importanza, la necessità di prendersi delle responsabilità e di aiutarsi per creare e mantenere qualcosa che può portare ad una crescita sia personale che comunitaria.

Questo è quello che anche io ho imparato oggi e ringrazio per questa possibilità.

Tengo molto a trasmettervi  come la possibilità di partecipare ad un progetto come questo sia aperta alle persone che vogliono mettersi in discussione conoscendo realtà così differenti.

Michela

Oggi per la prima volta sono andata a Bangladesh per la visita alle famiglie. Ho incontrato, insieme ad altri tre di noi, tre famiglie. O meglio tre madri. Solo una di loro ha un marito. Le altre, come la gran parte delle donne che vivono in questo e in altri slum, sono sole con molti figli da crescere. Gli uomini qui passano, nel vero senso della parola, e solo poche volte  restano. La dignità di un nucleo familiare, una casa e, per quel che è possibile, l’educazione dei figli qui è nelle mani delle madri.

Oggi, come dicevo, ne abbiamo incontrate tre: Angelina, Carolina e Anne. Angelina e Carolina vivono, come ci hanno detto, nella “parte bene” dello slum: sempre baracche in lamiera, come tutte le case qui, ma circondate da una recinzione anch’essa in lamiera e con filo spinato sulla sommità. In questo modo la zona è ritenuta più protetta rispetto all’esterno in cui circolano droga e alcol e le persone, soprattutto dopo una certa ora,  diventano violente.

Angelina ha poco più di trenta anni, vive in una casa di un solo ambiente. E’ sola, ha quattro figli e per vivere vende caramelle e giochi per bambini nelle zone limitrofe allo slum. Tutte le mattine si sveglia alle cinque per andare a Nairobi (a quell’ora il pullman costa meno) per comprare caramelle e i giochi. Alle sei e trenta è già di ritorno per preparare i figli per la scuola e poi uscire di nuovo per il suo lavoro fino al tardo pomeriggio. Il suo desiderio sarebbe quello di avere una casa con un altro vano per consentire ai figli una sistemazione più adeguata per la notte.

Caroline vive poco distante da Angelina. Anche la sua casa è di un vano solo. Un letto e poco più. Una televisione rudimentale campeggia su l’unico mobile presente nella stanza. Ma ciò che colpisce è che Caroline è e sembra una bambina. Non conosce bene la sua età. Lei e la madre sono state cacciate di casa dai parenti  dopo la morte del padre e la madre, da allora, è rimasta confusa. In più hanno perso tutto, anche i documenti.  Dice di avere 20 anni. Ed effettivamente la cosa è credibile. Ma in più ha due figli di 9 e 4 anni. Ha anche un marito che fa il muratore. Lei vorrebbe ricominciare a studiare (ha poco meno della terza media). Ma il marito non glielo permette. Davvero lo studio potrebbe renderla libera e il marito questo lo capisce bene e si oppone.

La terza visita è stata da Anne. Nell’area più malfamata dello slum dove Anne prepara, all’aria aperta sotto un tetto di lamiera, patate fritte, cuocendole in un pentolone su fuoco vivo poggiato su pietre a terra. Le vende insieme ad altro cibo locale.  Per integrare le entrate a volte raccoglie legna da ardere. Ci accoglie nella sua casa, anch’essa di un solo vano. Ha quattro figli e non è sposata. Ci dice che il figlio maggiore ha diciotto anni e qui vige una regola secondo cui un ragazzo maggiorenne non può dormire nella stessa stanza della madre. Per questo Anne ha affittato anche un’altra stanza per il figlio poco lontano dalla sua casa.

Anne sembra avere una grinta straordinaria. Ha un sorriso bellissimo ed è l’unica che ci ha fatto domande. Vuole sapere di noi. Perché siamo qui, che cosa facciamo. Un incontro giustamente alla pari. Un incontro toccante che richiede piena autenticità nella risposta. Lei ci accoglie nel suo quotidiano, nella sua casa. Noi non possiamo che essere grati di questa apertura e provare a comunicare, pur in un incontro breve, quel che veramente siamo.

Angeline, Carline ed Anne hanno in comune lo sguardo, uno sguardo timido, ma di grande dignità, un modo di parlare parsimonioso e tranquillo.

Qualunque commento in più su queste donne mi sembrerebbe inadeguato. Dico solo che mi piacerebbe incontrarle di nuovo.

E’ il penultimo giorno di servizio qui al campo. Il pensiero va anche inevitabilmente alle esperienze vissute nei giorni scorsi dalle suore di Madre Teresa e nella scuola di San Martin a Kariobangi. Mi piace chiudere questa breve condivisione ricordando proprio la scuola di San Martin, secondary school, proprio all’interno dello slum. Con soddisfazione Padre Maurizio Binaghi ci ha detto che è diventata una scuola ambita. Negli ultimi anni si è registrato un crescente livello di perfomance degli studenti. Alla fine dello scorso anno scolastico una ragazza, Mary, è stata la migliore allieva della zona nord di Nairobi. In uno slum, anche questa volta una ragazza.

Elisabetta

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