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Ciao a tutti. Stasera ho avuto l’occasione di poter scrivere sul blog, così da raccontarvi qualcosa di me.

Qui a Ongata, nella baraccopoli di Bangladesh, il pomeriggio ho prestato servizio disegnando con i bambini. L’attività del disegno è stata una novità, come tutte le altre, pensata, organizzata e programmata a Roma durante le riunioni preparative e qui messa in opera. Io, Margherita, Camilla, Marina e Diletta (che si è inserita nel progetto qui al campo per poterci guidare al meglio nello svolgimento di questa attività, data la sua esperienza) portiamo avanti con entusiasmo le lezioni per questi bambini. Siamo suddivise in due gruppi: quello con i bambini più grandi e quello dei più piccoli; io insieme alla mitica bresciana Margherita gestisco la classe dei bambini più piccoli, illustriamo loro dei disegni elementari ma che si rivelano delle opere d’arte nonostante le poche abilità che richiedono. La creatività che riescono a sprigionare bambini di quattro anni mi sorprende ogni giorno di più. Per quanto riguarda la comunità il luogo  e l’atmosfera che ci circonda ha suscitato in me e in tutti noi un gran desiderio: NON TORNARE A CASA.

Ebbene sì, nonostante non fosse la mia prima esperienza in Africa mai come questa volta ho desiderato restare. Dopo la mia condivisione a conferma di questo stato d’animo sono stata presa da parte dalla nostra Paola, alla quale, nonostante la grande stanchezza seral, nulla sfugge e dopo una lunga chiacchierata ed un bello “scrollone” ho potuto riflettere su un’infinità di aspetti, alcuni forse anche ovvi, ma di certo poco metabolizzati. Questo campo è stato e per fortuna ancora è una palestra continua. 


È un esercizio propedeutico a quello che sarà il mio vero campo ovvero quello che mi aspetta al mio rientro quando riprenderò in mano quella vita, quella quotidianità, a volte scomoda, che qui ho potuto solo momentaneamente accantonare.

Il mio vero campo inizierà a Roma, quando con il mio impegno, la mia costanza e perseveranza continuerò  ad impegnarmi affinché tutto queste giornate non siano una parentesi di viaggio ma una costante di un percorso di vita intrapreso e da portare avanti, mi dedicherò a tutte le persone che ho incontrato, a tutti i bambini che ho abbracciato e che mi porterò dentro, sempre! Sarò io in primis a dover rivedere tanti aspetti di me, a confermare molti impegni di attenzione all’altro, di servizio verso l’altro e soprattutto di fede.

A proposito ringrazio Maged, il sacerdote che ci ha accompagnato. Ha saputo mettersi in gioco, in un’esperienza per lui completamente nuova, ma nonostante ciò si è rivelata una guida spirituale genuina, equilibrata e cordiale, si è riuscito ad inserire all’interno della comunità con una pacatezza e semplicità che non ha pari, nonostante fosse consapevole che molti dei ragazzi presenti erano affezionati a sacerdoti come Padre Massimo e Padre Vitangelo, con i quali molti di noi hanno avuto la fortuna di vivere un campo missionario. 

L’impegno di fede sarà il più forte ed intenso. Vivere momenti di preghiera qui, in queste realtà, la sera in cappella è quasi naturale. Le persone che incontri in baraccopoli parlano di fede senza doversi esprimere, la maggior parte di noi si è accorta che il Signore si trova sui volti di queste persone che, nonostante le condizioni di vita in cui si trovano, riescono ad infondere  un senso di serenità indescrivibile; le suore ti invitano a pregare con coraggio e tanta allegria, si sono rivelate per noi ragazzi un vero esempio da dover seguire, le ammiriamo ogni giorno di più per tutto ciò che hanno fatto nel corso della loro vita. 

Sarà soprattutto questa dimensione che a Roma vorrò conservare ed alimentare. Sento di averne un infinito bisogno e soprattutto sarà quella forza che mi aiuterà a portare avanti l’entusiasmo per continuara a pensare, costruire, progettare mondi che terranno queste due parti dell’universo geograficamente così lontane in perenne connessione. NOI CON LORO/LORO CON NOI sempre! Perché noi SIAMO UNITI, perché noi SIAMO TUKO PAMOJA.

Grazie Paola, grazie compagni di viaggio che insieme ogni giorno di più raggiungiamo traguardi straordinari.

Livia
#TukoPamoja

2 Comments

  • Margi ha detto:

    Cara Livia, Cari Amici, Cara comunità mai stanca,
    vi leggo con il cuore sospeso, con una gioia indescrivibile affronto ogni termine che usate, e riflettere sulle vostre parole aiuta me, che da qua giù, non ho mollato mai nessuna manina, al costo di soffrirne, ma questa è la mia scelta. Per tenerle strette, la fede è diventata mia compagna, e le lacrime sono diventate il fiume che muove la mia vita e le mie intenzioni, so di cosa parli piccola Livia e sarò tua compagna fedele in questo bisogno, non potrebbe essere altrimenti. Le immagini che ci comunicate ci permettono di vedere ciò che vedete, di essere braccia forti e cuori saldi. La scelta di vedere, di incontrare di toccare, di baciare ed immergersi fino alla punta dei capelli, è ciò che cambia le nostre esistenze. A queste persone cosa resta allora? il nostro impegno, la nostra forza, il nostro sorriso, la certezza di non essere gli ultimi degli ultimi, ma di andare avanti convinti che da qualche parte chissà dove in “wazungu-land” ci sono un gruppo di pazzi che lottano e lavorano, non per rendere migliore le loro esistenze ma per amarli sempre, con fedeltà, simile a quella che solo il Signore ha per noi e per loro. quella fede è un faro nella notte fatta di lamiere e buste sotterrate dalla terra rossa, è il respiro tra le sillabe di ogni singolo ASANTE. Siete lì con tutta la nostra forza, sono certa che ogni singola persona a Bangla lo senta, che ogni mano che stringete sia un seme che germoglierà, che le preghiere abitano nel vento e vadano più veloce di quanto pensiate e che il vostro cuore continuerà a battere vicino a questi cuori che incontrate. Ne siamo responsabili in quanto esseri umani, Donatevi.
    TUKO PAMOJA.
    Margi, a cuore spalancato verso le sue radici africane.

  • Laura ha detto:

    @CHE COSA PUÒ VENIRE DI BUONO DA NAZARETH?
    Che cosa può venire di buono da Nazareth?
    Che cosa può venire di buono da Debrezeit, da Addis Abeba, dai villaggetti africani?
    Noi siamo venuti a dare, a portare!
    A noi c’è rimasta questa idea che i missionari,  le missionarie
    sono quelli che vanno a portare aiuti.
    Dovremmo dire ai missionari:
    ”Quando tornate qui in Europa,riempite gli aerei, riempite le navi,
     portateci vi preghiamo, dei pacchi dono perché stiamo morendo non di fame,
    ma morendo di tutti questi grandi valori,
    mandateci pacchi dono di speranza, di fiducia, di solidarietà che qui si muore”.
    E’ una cosa grande lasciarsi evangelizzare dai poveri,
    per portare il lieto annunzio ai poveri,
    che non sono stati abbandonati dal Signore.
    Il Signore un giorno ci rovisterà il guardaroba,
    così come fanno all’aeroporto
    per vedere non che cosa abbiamo esportato ma importato, 
    che cosa abbiamo preso, ricevuto dagli altri,
    quali cose ci portiamo a casa.
    Don Tonino Bello

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