Skip to main content
[siteorigin_widget class=”SiteOrigin_Widget_Image_Widget”][/siteorigin_widget]

L’Amore è l’unico vero Motore dell’Universo

Riflettere su questo concetto è come cercare il bandolo della matassa che non ricordavo di aver arrotolato: Quando è successo che tutte queste persone sono state emarginate e costrette a vivere in queste condizioni? Chi ha deciso la distribuzione del benessere materiale su questa Terra?
Decimo giorno di campo, vivo con un odore di diossina, pipì e polvere nel naso.
Se prima di partire non riuscivo a far capire ad amici e parenti perché ogni campo è diverso, non sono certa di riuscire a comunicare che qui, all’equatore, ogni giorno sia una sfida diversa.
Svolgo il mio servizio nello slum di Kariobangi presso le suore di Madre Teresa, un piccolo angolo di paradiso in un inferno di disperazione, come lo chiamiamo ormai da qualche anno. Queste donne, accolgono giovanissime ragazze madri con i loro numerosi piccoli e donne e bambini con gravi disabilità, gli ultimi degli ultimi, non solo poveri ma malati e con corpi dalle forme sformate. In questi giorni ho cercato di vedere questo luogo come una goccia di speranza, nascosta tra i disordinati vicoli di Huruma, che dà riparo a tutti coloro che non hanno dove altro andare e questo mi ha spinta a sorridere. Malgrado ciò, non riuscivo ad immaginare un modo onesto e sincero per imboccare una boccuccia paralizzata né per calmare il pianto di un bambino legato ad una sedia a rotelle.
Oggi, come gli altri giorni, siamo arrivati al cancello delle Charity Sisters, stanchi dal traffico tedioso di Nairobi che si risveglia dalle festività natalizie, con qualche elemento in meno perché alcuni di noi “gruppo Kario” erano coinvolti nelle home-visits negli slum e quindi ci siamo rimboccati le maniche, divisi i servizi ed abbiamo aperto il cuore tutti insieme, pamoja, per un’altra mattinata in compagnia dei nostri amici tutti diversi tra loro.
Una delle sensazioni più chiare che provo è che gli esseri umani, in ognuna delle proprie manifestazioni, mantengano un’unica coerenza: essere tutti diversi tra loro. Così come siamo diversi noi volontari, sono diversi gli angeli di cui ci prendiamo cura e così le loro disabilità. Non esistono due disabilità uguali. Ho visto in ognuno dei miei compagni una incredibile capacità di mettersi in discussione ogni giorno. Luoghi così ti tolgono le maschere, perché non sei tu a scegliere chi essere.
Al nostro arrivo, l’ala degli angioletti disabili dove mi trovo ogni giorno, era più calma del solito, sembrava una strana quiete dopo la tempesta del Natale. Non ho avuto neanche il tempo di realizzare di essere arrivata ed ero già con la testa tra le mani del mio piccolo amico. Non tanto piccolo ormai, ogni volta che lo guardo infatti, mi volano davanti agli occhi i ricordi della prima volta che l’ho visto tre anni fa, era fragile ed i suoi occhi non percepivano i colori ed erano quasi sempre socchiusi. Oggi è un bellissimo bimbo longilineo, le sue mani sono esili ma forti, le sue gambe lunghe e solide malgrado le caviglie finissime. Non può vedere con gli occhi, ma la sua capacità di vedere con il cuore oltrepassa di gran lunga qualunque visita oculistica. È saggio, paziente e molto furbo, ha imparato fin dal primo giorno come attirare la mia attenzione e come manifestare le sue necessità. Di fronte a lui non ho difese e le domande che mi rimbalzano in testa non si fermano. Esiste un futuro per questi bambini? Tenendo sempre a mente che io sono qui per un periodo di tempo davvero limitato, non mi sento in grado di fare alcuna differenza e quindi affronto questi momenti esattamente per ciò che sono, degli incontri. Ma vivendo a cuore aperto si può ricevere qualunque cosa.
Il momento del pranzo è sempre un pò una festa, alcuni dei piccoli sono ancora presi dalle bolle di sapone che facciamo volare in aria oppure indossano cappelli di palloncini colorati che li fanno ridere a crepapelle, ma noi andiamo avanti cercando di far mangiare ogni bambino che ci viene affidato. Usiamo tutto ciò che abbiamo a disposizione, ma alla fine ciò che serve davvero è solo il cuore.
Affronto ogni giorno osservando i miei compagni volontari per cercare di capire se posso sostenerli, aiutarli o anche solo per vedere le loro espressioni durante il servizio. Che meraviglia.
Il mio piccolo amico mi aspetta per mangiare e nel momento in cui arrivo lo lascio familiarizzare con il cucchiaio e la ciotola e l’odore del cibo, lui può mangiare da solo, ed ogni giorno impara di più. Io imparo la pazienza perché me la insegna lui. Lui che sa, sente, ogni volta che poggia la testa sul mio cuore, e ci passa minuti immobile, poi mi guarda e sorride, sorride tantissimo.
Gocce nell’oceano, ma ogni goccia è necessaria.
E allora che cos’è che gli permette di vedere? Oggi mi rispondo che è l’Amore. Quello con la “A” maiuscola, che si può trasmettere anche solo stringendosi la mano, perchè noi, qui, non facciamo più di questo. Quell’amore che provo e che ricevo, quello che mi permette di svegliarmi ogni giorno, quello che mi ha spinta a tornare a Nairobi per ritrovare amici e per vedere a che punto stanno i semi che ho piantato. Penso al fatto che se nei nostri rapporti di ogni giorno, mettessimo un ventesimo dell’amore che ho ricevuto e donato qui, forse non ci troveremmo a vivere in un Paese terrorizzato dalla diversità, non cammineremmo per città infestate di sentimenti di paura più sporchi delle baraccopoli che vediamo in Kenya. Prima di partire quest’anno, pensavo che avrei ricevuto nuovi occhi per vedere. Ed è stato così, oggi vedo.
Alla fine del servizio, anche oggi abbiamo raccolto i nostri pezzettini seminati in giro e siamo risaliti sul bus diretti a Ongata per dare il cambio al nostro gruppo gemello “gruppo Bangla” e svolgere servizio nello slum di Bangladesh nel pomeriggio, dove l’amore dei bambini che conosco da qualche anno e la gioia nel vederli crescere e diventare dei piccoli adulti ha sospinto il mio cuore fino a stasera, malgrado i pensieri e la rabbia che non mi abbandonano.
Scrivo in un sera di cicale e spalancato cielo africano, molti di noi sono già andati a dormire, altri chiacchierano sotto i portici della Giacomo hall.
Vedo con il cuore e penso: non abbiate paura ma sappiate che siete amati.

Tuko Pamoja.

Margi

[siteorigin_widget class=”SiteOrigin_Widget_Image_Widget”][/siteorigin_widget]

Cosa mi porto a casa

Siamo ormai quasi agli sgoccioli della nostra esperienza keniana e mi trovo a scrivere il blog di questa sera…
Sono arrivata qui con alcune idee in testa.
Mi immaginavo nugoli di bambini che mi si sarebbero precipitati incontro appena mi avrebbero vista. Mi immaginavo bimbetti tristi e debolucci con cui non sarei mai stata in grado di interagire. Mi immaginavo di fare servizio in un posto triste e polveroso e a temperature insostenibili.
Sono arrivata qui e alloggiamo in un angolo di paradiso con piante altissime e fiori dai mille colori. Ogni mattina, quando arriviamo per il nostro servizio allo slum di Bangladesh (così chiamato perché in origine abitato da bengalesi venuti qui per lavorare) i bambini ci accolgono con voci festanti ed enormi sorrisi, qualcuno per la verità un po’ triste, ci abbracciano e si contendono le nostre mani per accompagnarci al luogo in cui faremo attività. E il posto dove stiamo con i bimbi è un prato vicino ad un fiumicello (cosa che non mi sarei mai aspettata di trovare qui) con grandi bambù e altre piante, ma per la verità anche un po’ di pattume sparso qua e là. E il caldo non è nemmeno così insopportabile.
Mi ricordavo la baraccopoli che avevo visto a El Salvador, nella quale ero solo passata quasi di corsa e in cui ci avevano quasi vietato di guardare nelle baracche o di dare confidenza ai bambini. Mi ricordavo gli odori, o meglio la puzza che ci avevo sentito, ma non avevo conosciuto nessuno. Qui invece mi ritrovo tutte le mattine ad attraversare lo slum con i bimbi per mano o in braccio e a dare loro nomignoli affettuosi e a cercare di imprimermi per bene in testa i loro volti e i loro nomi, per non scordare tutto una volta rientrata in Italia. Ho il privilegio di passare le mie giornate con questi bambini che tanto mi ricordano quelli con cui a Bergamo passo quasi tutti miei pomeriggi alla Fabbrica dei Sogni, e forse per questo mi fanno provare ancora più forte il desiderio di battermi per loro. Ho avuto l’enorme privilegio di entrate in quattro baracche e di conoscere quattro donne forti che si battono per il proprio futuro e quello dei propri figli, che hanno saputo dire no a uomini violenti o sopravvivere e reinventarsi dopo la perdita di un marito o ancora trovare un equilibrio nel mondo super precario un cui vivono. Incontri illuminanti e oltremodo esemplificativi della forza che ognuno può trovare in sé. Incontri che mi hanno fatto capire che comunque vada se io mi impegno qualcosa di buono lo portò sempre fare.
Sono arrivata qui piena si interrogativi e quasi tutti sono ancora lì. Solo ad uno ho trovato risposta. Mi chiedevo se sarei stata in grado di sopportare quest’esperienza, se sarei stata in grado di lavorare con un gruppo completamente nuovo per me, e la risposta è senza dubbio sì! Ho trovato un gruppo che mi supporta (e sopporta) in questa avventura e grazie al quale posso crescere in consapevolezza grazie alle condivisioni di fine giornata e ai vari scambi di idee in pullman e tra un’attività e l’altra.
Poi mi sono scontrata con il cinismo che ho sviluppato negli ultimi anni e che temevo non mi avrebbe fatto vivere al meglio l’esperienza, e questo mi faceva molta paura… ma la puzza che ho sentito a Kairobangi, lo scempio della discarica di Korogocho e le parole di Leah che deve pagare 1700 scellini di affitto (poco meno di 17 euro, per noi un niente, per loro moltissimo) per stare in una baracca con 6 bambini mi hanno per fortuna ancora una volta scandalizzata e hanno risvegliato in me quello sdegno e quell’amore di giustizia che hanno caratterizzato il mio percorso formativo e la decisione di impegnarmi a favore degli ultimi. Stiamo in mezzo a situazioni al di sotto del più basso limite di decenza. Qui i diritti umani sono quotidianamente bellamente dimenticati. Non posso più tacere. Non posso più dirmi cristiana impegnata se non faccio qualcosa.
Questo mi porto a casa da Nairobi: i volti dei bambini che non implorando pietà, ma impongono giustizia. Quelle manine che stringono la mia e mi danno forza, quella forza che non sapevo più di avere. I volti di quelle donne che, piene di dignità, mi raccontano la loro vita e davanti alle quali mi sento assolutamente ed immeritatamente fortunata. E allora quella fortuna devo volgerla a loro vantaggio. Troverò il modo, non so ancora quale, ma un modo ci sarà di sicuro.
Grazie a Giacomo che ha reso possibile che io potessi vivere questa fantastica esperienza.

Laura

#tukopamoja

Lascia un commento